20062
PIU POVERI MA FELICI?
Published by Luigi Orsi Carbone at 6:27 pm in Blog with No Comments
Francesco Giavazzi e Alberto Alesina nel loro ottimo saggio Goodbye Europa ( dovrebbe essere adottato come libro di lettura obbligatorio in tutte le scuole medie superiori/universita’), descrivono con grande semplicita’ e chiarezza perche’ il gap di ricchezza tra USA ed Europa si sta’ allargando e l’Europa e’ entrata in una fase di declino e cosa bisogna fare per invertire questo trend che porterebbe alla marginalizzazione dell’Europa: in sintesi meno sussidi statali e piu’ incentivi alle persone, lasciando poi lavorare il mercato.
Il reddito medio pro capite e la sua crescita nel tempo offrono una misura sintetica del livello di ricchezza di un Paese e delle persone che in esse vivono. Rappresenta il valore medio dei beni e servizi che ciascuno di noi mediamente produce ogni anno. Ad inizio ‘900 questo indicatore era pressoche’ uguale tra le due sponde dell’Atlantico. Nel 1950 dopo le guerre che devastarono l’Europa il reddito pro capite dei Paesi Europei era la meta’ di quello USA. Tra il 1950 e il 1980 il gap si era prima assotigliato al 75% per poi stabilizzato al 75% nei succesivi quindi anni fino al 1995 quando il divario e’ rincominciato a crescere di nuovo. Certo il reddito pro capite non e’ il solo determinante della qualita’ della vita, ma alla fine i soldi contano soprattutto quando ci si confronta con gli standard di vita e la capacita’ di spesa degli altri.
I motivi di questo crescente divario di ricchezza tra le due sponde dell’Atlantico sono evidenti e piuttosto noti.
In Europa che si trova in una fase stagnante di crescita demografica, ci sono meno persone che lavorano in rapporto alla popolazione (perche’ > sono i disoccupati e/o chi non partecipa alla forza lavoro, come ad esempio le casalinghe) e le persone che lavorano lo fanno per meno giorni all’anno (ci si concede cioe’ piu’ vacanze, malattie,..) e per meno ore settimanali. L’Italia non fa’ eccezione (ci mancherebbe!) ma probabilmente da noi pesa parecchio anche il lavoro in nero (che non rientra ovviamente nelle statistiche) o la produzione di beni e servizi da casa (es. accudire i figli a casa rispetto a mandarli in un asilo, o mangiare in casa rispetto ai pasti al ristorante, peraltro a volte attivita’ anche piu’ produttiva di quelle ufficiali). Inoltre nelle ore effettivamente lavorate si produce di meno per la minor specializzazione ed una minor innovazione.
Quindi delle due l’una: o decidiamo di lavorare di piu’ (piu’ persone, per piu’ giorni con meno vacanze e per piu’ ore ) o diventiamo tutti piu’ produttivi lavorando meglio (ovvero producendo di piu’ per ora lavorata). Siccome e’ difficile pensare che gli Europei riducano il proprio tempo libero questa seconda strada sembrerebbe la piu’ accessibile. Ma solo in apparenza. Mentre negli anni ’80 la produttivita’ in Europa aumento’ perche’ in forte ritardo copiavamo/importavamo le innovazioni da USA e Giappone, ora per aumentare la produttività dovremmo per forza innovare in maniera piu’ spinta e radicale investendo nella ricerca e puntando sulla apertura dei mercati e sulla distruzione creativa, tenendoci lontani dalle distorsioni e cattivi incentivi dei sussidi statali (tra l’altro persino troppo gravosi per le casse vuote dei forzieri statali). E in Italia partiamo come al solito ultimi spendendo neanche l’1% del PIL in ricerca ed innovazione (contro una media del 3%+ nei paesi piu’ avanzati).
L’alternativa e’ un lento ma inesorabile declino. Che in altre parole povere significa la vendita del nostro patrimonio (aziende, case, arte, etc..) per sostenere i consumi e/o l’accontentarsi di uno stile di vita sempre piu’ povero. Nei prossimi anni qualcosa puo’ ancora essere fatto per invertire questo ciclo. Ma bisogna correre prima che sia troppo tardi. Altrimenti sara’ meglio avvisare i nostri figli che per loro non ci saranno molte opportunita’ su questa sponda dell’Atlantico. Ma solo luoghi speciali per andare in vacanza, ammesso che abbiamo soldi a sufficenza per pagarsi le vacanze in hotel e villaggi che allora saranno in gran parte di proprieta’ di americani e asiatici.
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