La vicenda Telecom con il piano di scorporo di TIM e la sua possibile cessione (magari all’estero) ha sollevato un grande polverone e consente alcune riflessioni sull’evoluzione del capitalismo italiano.

L’argomento piu’ gettonato dalla una parte delle classe politica (sia di sinistra sia destra) e’ il seguente: l’affaire Telecom/TIM dimostrerebbe, se ancora ce ne fosse bisogno, che in Italia ci sono imprenditori ma senza capitali, o almeno senza grandi capitali. Questo ha come effetto il nanismo delle imprese italiane e fa’ si che oltre certe dimensioni le imprese italiane vengano cedute all’estero dove i capitali sono disponibili in grandi quantita’. Per evitare cio’, soprattutto per mantenere il controllo di imprese in settori “strategici per il Paese” serve un nuovo schema di partecipazioni statali al fianco dei capitali privati per acquisire e mantenere il controllo degli assets strategici in Italia.

I capitali in Italia ci sono, eccome. Basta guardare il tasso di risparmio degli italiani. E’ vero pero’ che a differenza di cio’ che avviene in altri Paesi avanzati sono meno concentrati in misura rilevante nelle mani di pochi (e forse e’ un bene); soprattutto mancano quasi del tutto i grandi intermediari finanziari specializzati (es. fondi di private equity, fondi pensione,..) in grado di raccogliere concentrare grandissimi patrimoni e di indirizzarli sull’investimento e in alcun casi sul controllo di grandi imprese/assets industriali.


L’imprenditore ha il suo ruolo fondamentale nella fase inziale ed intermedia di sviluppo e crescita dell’impresa. Raggiunte certe soglie dimensionale l’impresa se vuole continuare a crescere deve necessariamente passare sotto il controllo di chi la puo’ dotare delle risorse finanziarie necessarie e che comunque continua a gestirla, al posto dell’imprenditore, grazie alla delega ad un management preparato che lavora nell’interesse degli azionisti e degli altri portatori di interesse. Le grandi multinazionali USA, UK, olandesi, svizzere, sono oggi per lop piu’ in mano ai grandi fondi pensione e non sono controllate ancora da famiglie/da singoli imprenditori (tranne rare eccezioni).

In Italia purtroppo questo salto dimensionale non e’ quasi mai  fatto: un po’ credo per la volonta’ degli imprenditori di mantenere e tramandare il controllo dell’azienda all’interno della famiglia anche a scapito delle opportunita’ di crescita,  un po’ per l’assenza degli investitori istituzionali, private equity/fondi pensione/… e in parte di manager esperti in grado di sostituirsi e continuare il lavoro dell’imprenditore.

E la politica non ha fatto nulla per incentivare la nascita di queste figure in quanto storicamente ha preferito avere un unico interlocutore (l’imprenditore italiano) con cui puo’ avere un rapporto immediato e diretto e influenzarne/indirizzarne le decisioni per scopi politici.

Per questo la soluzione politica che sembra emergere in questi mesi e’ quella della rinascita dell’IRI e delle partecipazioni statali dove e’ lo stato o qualche sua emanazione diretta (CDC,..) o semipubblicistica (Fondazioni,…) a mettere i capitali per mantenere il controllo in mani italiane e delegando poi ai grand commis pubblici, sotto il controllo diretto della politica,  il compito di "gestire" le aziende.

Soprendente che si possano fare ancora queste considerazioni dimenticando gli sconquassi del dirigismo italiano e delle partecipazioni statali degli ultimi trentanni: il terzo debito pubblico piu’ grande del mondo che sta’ zavorrando  l’economia italiana e ne previene la crescita a tassi sostenuti. Alitalia non docet?

Imbarazzante che queste idee rimbalzino poi verso l’Italia proprio dalla Cina, ultimo grande Paese comunista/dirigista, che da oltre un decennio ha abbracciato il capitalismo piu’ libero e sfrenato con i risultati (almeno in campo economico) che tutti conosciamo.

Avanti quindi senza indugio con le privatizzazioni anche a livello municipale, con le liberalizzazioni,  scatenando e supportando davvero l’Italia che lavora, produce e consuma dall’abbraccio mortale con la politica e aprendo interi settori alla concorrenza e al mercato. Favoriamo poi la nascita di quegli intermediari finanziari con i capitali adeguati a prendere il controllo delle imprese e farle crescere nel mondo. E chiamiamo manager italiani esperti e compententi per gestirle.  Non c’e’ nessuna ragione perche’ l’Italia non abbia al pari di Svizzera e Olanda colossi multinazionali che vincono sui mercati nel mondo.

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